SOMMARIO La mancanza di un grande fiume ha comportato l’obbligo di creare fitta una rete di canali navigabili, non limitabili ai tre noti navigli Grande, Pavese e Martesana. Ben prima della loro realizzazione vi fu una continua opera di messa in comunicazione via acqua, approfittando dei corsi naturali esistenti e dell’abbondante acqua risorgiva. Tutto questo grande lavoro è stato coperto e asfaltato nel corso dell’ultimo secolo. Il risultato è che il ventre di Milano risulta di difficile lettura, e anche molti testi recenti risultano alquanto imprecisi
di Gabriele Pagani

Nel secondo dopoguerra Milano è completamente cambiata. La celebre locuzione “Milano città d’acqua” riguarda una città pressochè scomparsa e l’orizzonte paesaggistico l’assimila molto di più a un anonimo insediamento di metropoli di pianura. Proviamo a vedere da vicino gli aspetti più significativi
che hanno generato il mutamento. I corsi d’acqua maggiori su cui si è sviluppata la città sono:
il Nirone, che era un fiume straordinario di risorgive attive (1),
l’Olona, che nel territorio di Milano è un antico canale derivato dal fiume omonimo nato alle Fornaci della Riana alla Rasa di Varese, presso il Sacro Monte di Varese, all’interno del Parco regionale Campo dei Fiori
il Seveso, un fiume nato dal Monte Sasso, in prossimità della frontiera tra l’Italia e la Svizzera,
il Vettabbia (o la Vettabbia, roggia) canale di unione alimentato dai tre maggiori corsi d’acqua prima citati.
A questi grandi corsi d’acqua si devono aggiungere numerosissimi fiumi di risorgiva – a volte molto brevi – meglio noti come fontanili (2) oltre a molteplici canali, rogge e, nei secoli più vicini a noi, navigli, ossia canali navigabili. Diamo, di seguito, cenni dei maggiori corsi d’acqua e dell’idrografia in particolare.
Olona (e Lambro Meridionale o Merdarius)

L’Olona e un canale realizzato in epoca romana (3), derivato dal fiume originario dal medesimo idronimo, all’altezza della frazione Lucernate di Rho e indirizzato nella attuale piazza Vetra dove era allocato il porto di Milano distrutto dai Goti nel VI sec. d.C. Originariamente il canale aveva l’idronimo di Vepra (con non poche storpiature quali: Vetra, Vepera, Vipra, Vipera e simili) e venne sostituito, progressivamente dal XII secolo circa con lo stesso lemma di Olona, storpiato in Ollona, Orona e simili. Il canale è a cielo aperto fino a Pero, al confine con Milano, per poi essere coperto lungo tutto il suo tragitto che, dopo aver attraversato l’attuale quartiere Gallaratese, ex territorio di Trenno, piega, all’altezza dei piazzali Stuparich – Lotto, verso piazza Napoli. Poco dopo, in via Malaga, il maleodorante Olona riceve una parte delle acque pulite del Naviglio Grande dando vita al Lambro Meridionale, detto anche Lambro Merdarius, le cui acque un tempo venivano vendute per concimare i campi. Il corso prosegue fino a immettersi nel Lambro (settentrionale) a S. Angelo Lodigiano e questo successivamente nel Po a Chignolo.
Hanno mantenuto l’idronimo di Olona anche lo scolmatore degli anni ’80, costruito nell’area Valsesia-Quinto Romano-Sella Nuova-Lorenteggio che confluisce nel Lambro meridionale e il tratto che confluisce nella Darsena.

Il fiume in epoca imprecisata è stato unito alla Vettabbia (vedi più sotto la voce relativa) mentre il corso d’acqua dopo Rho ha seguito il percorso originario sfociando nel Po a S. Zenone. Non deve stupire che un corso d’acqua sopravviva a derivazioni o ad altri interventi che possano generare impoverimenti della portata d’acqua, occorre tenere presente infatti che la diffusissima presenza di risorgive poteva supplire e determinare nuove situazioni come è definito con grande evidenza dagli statuti dei primi secoli dello scorso millennio dove viene specificato: “Como se debbe remondare le fontane, a ciò che l’aqua possa multiplicare e più abundantemente correre nel lecto de la Olona…(4)”. Per “remondare le fontane” si intende pulire i fontanili (detti anche fontane o funtane, in dialetto con il “multiplicare” determinato dalle polle sorgive nel letto del corso d’acqua) ed era l’operazione tipica e indispensabile da effettuarsi con cadenza per lo più annuale.
Nirone
Il Nirone era un fiume di risorgiva dalle dimensioni straordinarie. La sua origine è a Baranzate (area tra le attuali vie Aquileia e Falzàrego), via Monte Amiata costituito da sei tine (o tini) e impinguato da un altro grandioso fiume di risorgiva – il Rigosella, nei pressi della cascina Ghisolfa – costituito da dodici tine, per un totale stupefacente di diciotto risorgive. L’ampiezza della infrastruttura consentiva una portata d’acqua enorme, confermato indirettamente dalla presenza di otto mulini sul percorso che, da Baranzate, raggiungeva Roserio costeggiando la chiesetta oratorio di S. Giorgio (ora molto compromessa), via Mambretti presso l’antico Comune di Musocco, via Mac Mahon (nei cui pressi si collocava il mulino di Villa Simonetta, tuttora ricordato con graffiti sotto l’androne di un ingresso al civico 14) per confluire poi nel fossato del Castello.

Nella defluenza a sud della città la documentazione d’archivio ci riconsegna un corso d’acqua che “…In epoca tardo medioevale (prima metà del XVII secolo), come testimoniano le carte catastali dell’epoca, il colatore si presentava fortemente meandreggiante e probabilmente ricco di zone umide e paludose. Il tracciato attuale, per quanto a tratti ancora decisamente sinuoso, tratto ad Ovest di Cascina Nerone (tuttora esistente N.d.A.), è quindi il risultato di diversi interventi di regolarizzazione eseguiti dall’uomo nel corso degli ultimi due secoli (…) il Nerone è oggi diviso in due tronchi: superiore ed inferiore, regolato da due distinti consorzi. Il consorzio superiore ha per scopo di tenere attivato lo scolo dei comuni di Gerenzago, Inverno e Monteleone, Miradolo Terme e Santa Cristina e Bissone; il consorzio inferiore è detto della Gariga (il Colatore Nerone acquista infatti il nome di Roggia Nerone – Gariga in territorio di Chignolo Po), ed adopera le acque per l’irrigazione dei terreni nella vallata del Po a Sud dell’abitato di Chignolo Po (5)“.

Seveso
Il Seveso proviene dalle Prealpi di Como, si indirizza verso la Brianza, raggiunge Bresso e, giunto a Milano viene coperto all’altezza di Niguarda. Ha svolto un servizio importante per la città “…in epoca romana entrando in città all’altezza di porta Comasina, poi, dopo lo scavo del Redefosso, avvenuto in un’epoca
imprecisata, ma certamente dopo il Mille, fu fatto deviare verso la zona fuori porta Orientale e, attraversando il punto dove è l’odierna piazza S. Babila scendeva verso la via Durini e poi lungo via Disciplini e avrebbe alimentato il fossato fino a scaricarsi nella Vettabbia attraverso la quale tornava, infine, al Lambro (6)“.
Il Seveso ha avuto un ruolo particolarmente attivo nelle antiche fognature di Milano dotatasi di un sistema articolato per lo smaltimento delle acque nere, costituito da canali sotterranei che nella documentazione d’archivio sono richiamatati come cloache o chiaviche, ma che il vulgo, come precisa una Ordinazione del 1765, chiama cantarane, ossia fognature, come diremmo oggi.

Si tratta di un sistema raffinato, che ha assicurato alla città una infrastruttura fondamentale e molto più efficace di quanto lamenti una certa pubblicistica, soprattutto negli ultimi secoli, che ha rilevato impietosamente e severamente, ma con inaccettabile imprecisione – con riferimento in particolare a mostre dedicate all’idrografia antica – che Milano sarebbe stata senza sistema fognario fino all’Ottocento. La presenza del reticolo idrico, finalizzato alla rete fognaria, costituisce un tessuto animato che fa parte dell’essenza della città accompagnandola nella sua espansione e, così, le cantarane assumono dei nomi che appartengono alla toponomastica, come: cantarana al Teatro Grande; cantarana che resta a fianco della cinta della R.a Collegiata di S.a Maria della Scala; cantarana di S. Martino; cantarana di S. Pietro in Campo Lodigiano; cantarana vicino al Pasquaro de’ Resti (7) e altre.
Vettabbia
La Vettabbia è un canale, già navigabile, ottenuto dalla confluenza dei tre corsi d’acqua appena descritti e che a lungo ha fatto discutere gli studiosi circa l’origine. “Una prima questione da affrontare riguarda l’origine della Vettabbia, come afferma Felice Poggi (…) recentemente Massimilano David ha formulato l’ipotesi che potrebbe trattarsi del tratto meridionale di un torrente, il Garbogera, proveniente dalle Groane (8)” è uno dei tanti rilievi che riguardano la Vettabbia cui si dedicò anche Giorgio Giulini, uno dei massimi storici di Milano che intuì l’origine (ossia unione di Nirone, Seveso e Vepra facendo riferimento a Galvano Fiamma e a “vecchie carte”.
L’argomento però doveva essere di grande attualità o, meglio, di importanza fondamentale se si ritenne di affidare le indagini a cinque dei massimi ingegneri collegiati di Milano: Vincenzo Seregni, Giambattista Lonati, Dionigi Ferrario, Martino Bassi, Giovanni Cucchi. Si tratta dei massimi esperti nel campo di quei tempi con Vincenzo Seregni e Martino Bassi ambedue responsabili della Fabbrica del Duomo di Milano, dal 1555 al 1567 il primo, dal 1586 al 1591 il secondo, che è anche autore di un notevole trattato teorico (Dispareri in materia d’architettura, et perspettiva, Brescia, 1572). Ambedue onorati dalla città che ha dedicato loro una via.
Il dilemma protrattosi così a lungo è stato risolto inoppugnabilmente in questi ultimi anni, con la fortunata scoperta presso l’Archivio di Stato di Milano di un documento che attesta: “Noi sottoscritti ingegnieri publici della Città de Milano facciamo ampla et autentica fede per la presente, che le acque della Vedra, del Seveso et del Nirone; le quali acque pasano tutte per la Città; che il fine d’esse acque ove si congiungono insieme è alla torrazza del’imperatore situata tra porta Ludovica et porta Ticinese, et ivi cadono et si congiungono con la Vittabia, la qual si forma propriamente delle suddette acque della Vetra, del Seveso, et del Nirone, et ancora d’una bocca dell’acqua del fosso o’sia naviglio d’essa Città – ne dette acque cadono più nel naviglio (aggiunta successiva n.d.a.) – et per fede della verità sottoscritto di nostre mani in Milano el di 27 di Genaro 1579 (9)“.
Non sapremo mai perché si sia arrivati ad affidare una indagine di tale tipo per definire gli affluenti, né tantomeno sapremo mai chi e perché si sia arrivati a tale necessità, ossia avere un corso d’acqua di così ampia portata già in epoca romana. Si può solo avanzare prudentemente una ipotesi che riguarda la necessità di avere un collegamento con il mare Adriatico via Po per il trasporto e i grandi commerci iniziati con Mediolanum. Divenuta capitale dell’Impero Romano dal 286 al 402 d.C. necessitava di raggiungere il Lambro (a quei tempi di ben altra portata); la capitale avrebbe avuto un Portus Mediolanensis in area Lodigiana, al momento non ancora definita l’ubicazione con certezza. Il nuovo ruolo le imponeva una giurisdizione su ampia parte dell’Europa occidentale e dell’Africa settentrionale, altre necessità logistiche e amministrative, con spostamenti di truppe, viveri, merci e altro. Solo una via d’acqua assicurata da un grande canale avrebbe consentito di raggiungere – via Lambro e Po – l’Adriatico con rapidità.
Fine prima parte, la seconda la trovate QUI
Note
1. Classifica un corso d’acqua con l’origine in territorio alluvionale ed è presente in ampie aree del mondo. In Italia il fiume di
risorgiva più lungo è il Sile, con una lunghezza di 90 km, sorgente a 27 m s.l.m. a Torreselle (PD) e sfocia nel Mar Adriatico.
NB: il Bacchiglione, lungo 119 km, ha solo uno dei due bacini di raccolta originato da risorgive.
2. Il fontanile è sostanzialmente una risorgiva antropizzata, ossia governata dall’uomo e modellata a corso d’acqua, con
captazione della falda acquifera, solitamente con tubazione cava – originariamente con tronco d’albero – detta tina e
sagomando una origine ben definita, con una arginatura di contenimento dell’acqua e veicolando, infine, il bacino così
formatosi verso il canale che prende il nome di asta. Diffusisi in aree stagnanti da bonificare completano, solitamente, la loro
funzione alimentando i prati cosiddetti a marcita.
3. Caporusso Donatella, La situazione idrografica di Milano romana, in “Milano capitale dell’Impero Romano 286-402 d.C.”,
Silvana Editoriale, Milano, 1990.
4. David Massimiliano, L’idrografia del territorio milanese nel Trecento, in “Gli Statuti delle strade e delle acque del Contado
di Milano” a cura di Angelo Stella, Maurizio Vitale, Led, Edizioni Universitarie, 1992.
5. Calvi Daniele, Piano di governo del territorio – Componente geologica, idrogeologica e sismica, Comune di S. Cristina e
Bissone, 2008 p. 15.
6. Fantoni Giuliana, L’acqua a Milano – Uso e gestione nel basso Medioevo, Cappelli di Gem srl, Bologna, 1990 p. 20
7. ASMi (Archivio di Stato Milano) Acque p. a., c. 402. Il termine cantarana tuttavia, molto diffuso e non solo in Lombardia (soprattutto nella
toponomastica) richiederà un ulteriore approfondimento non essendo sempre possibile consolidare una interpretazione legata a
condutture di acque nere e l’insediamento classificato con tale fenomeno, ma certamente è difficile sostenere l’accostamento
con le rane, come avviene per il Nirone (cfr. Wikipedia).
8. Brown Maurizio – Redondi Pietro, Dalle marcite ai bionutrienti / Passato e futuro dell’utilizzo agricolo delle acque usate di
Milano, Guerini Associati, 2016, pag. 17
9. ASMi, Acque p. a., c. 397. Il documento è stato pubblicato per la prima volta nel 2017 nel volume Storie d’acqua, Pagani G.
Stampa edizioni Furlan, Milano