SOMMARIO L’abbazia cistercense di Chiaravalle era già così come la vedete adesso 50 anni prima che fosse posta la prima pietra del Duomo. È il monumento più bello, storicamente e artisticamente più importante non solo del sistema dei borghi milanesi, ma anche di Milano e del suo Hinterland, se si considera che conserva ancora il suo contesto naturale, oggi noto come Parco Agricolo Sud. Visitiamolo con le fotografie di Andrea Cherchi
di Riccardo Tammaro
Fotografie di Andrea Cherchi
In questo testo sarà esaminato il noto edificio religioso da un punto di vista prima storico e poi artistico; non si pretende di esaurire il tema, ma di dare un’idea della sua importanza e bellezza a chi non vi fosse mai stato.

Iniziamo con la storia, che ci parla del XII secolo, ed il primo documento è in realtà una lapide, che era situata sulla porta che dal chiostro portava alla chiesa: su di essa si trova la data 22 gennaio 1135, che pare essere la data della posa della prima pietra; il luogo della costruzione era una località chiamata Bagnolo in loco Roveniano (o Rovegnano). Per certo il 22 luglio 1135 venne inaugurato un primo edificio, di cui però nulla è rimasto. Verso la fine del 1134 era infatti giunto a Milano un gruppetto di Cistercensi provenienti da Clairvaux, cittadina della Borgogna in cui si trovava un’abbazia cistercense, fondata da Bernardo di Fontaines ed erano stati ospitati dai benedettini di Sant’Ambrogio. Con loro era lo stesso Bernardo, di passaggio a Milano per dare sostegno a papa Innocenzo II, contro il quale era stato eletto l’antipapa Anacleto II.
La sua predicazione risultò così convincente che il clero milanese avrebbe voluto eleggerlo come vescovo della città. Egli però declinò l’offerta e decise invece di fondare, in una zona paludosa a sud-est della città, una nuova abbazia, che prenderà il nome di Chiaravalle da quelle borgognona di Clairvaux; in particolare il monastero sarà eretto sulla terra di un certo Girardo Agonis, a 4 miglia dalla città, e verrà citato già in un documento dell’ottobre 1135.
Le prime costruzioni realizzate dai religiosi furono provvisorie, e solo nel periodo tra il 1150 e il 1160 venne iniziata la costruzione della chiesa attuale, che poi si protrasse per circa 70 anni, fino al 1221; di quella originaria del 1135 non rimane oggi alcuna traccia. Il materiale scelto per la costruzione fu il laterizio, all’epoca abbondante nella zona, ed i lavori ebbero inizio dalla parte orientale della chiesa (abside e coro), per consentire in breve tempo l’avvio delle pratiche religiose; insieme vennero costruiti il dormitorio e gli ambienti comuni per i monaci. Nel 1196 vennero consacrati i primi altari e il 2 maggio 1221 l’arcivescovo Enrico Settala consacrò la chiesa ultimata.
Durante il XIII secolo i lavori proseguirono nella realizzazione del primo Chiostro, situato a sud della chiesa, ed in seguito, nel XIV secolo, vennero realizzati il tiburio e il refettorio. Nel 1412 venne costruita per volere dell’abate una piccola cappella, posizionata in corrispondenza del transetto meridionale, rimaneggiata nel XVII secolo e oggi utilizzata come sacristia.
Ogni secolo lascia la sua impronta
In seguito, nel 1490, il Bramante e Giovanni Antonio Amadeo su commissione del cardinale Ascanio Maria Sforza Visconti, fratello di Ludovico il Moro, iniziarono a costruire il Chiostro Grande e il capitolo. E durante il periodo Rinascimentale molti pittori e artisti lavorarono all’Abbazia; a questo periodo risalgono ad esempio le opere di Bernardino Luini. In seguito, tra il 1614 e il 1616, i Fiammenghini ebbero l’incarico di decorare le pareti interne della chiesa, che vennero letteralmente ricoperte di affreschi visibili ancora oggi.
Tra il secolo XIII e il XIV, la proprietà dell’abbazia di Chiaravalle si espanse nei territori limitrofi, coltivati con l’ingegnoso sistema della marcite, inventate appunto dai Cistercensi; l’espansione proseguì nei secoli successivi, tanto che nel 1722, in un’inchiesta preparatoria per il catasto Teresiano, risultò che la superficie totale della comunità ammontava a 10.000 pertiche, pari a 654 ettari, e che nel borgo esistevano una ventina di case da massaro, in gran parte di proprietà del monastero, due mulini e un’osteria.
La storia dell’abbazia proseguì tranquilla nei secoli fino alla cacciata dei monaci da parte della Repubblica Cisalpina nell’anno 1798; in quell’anno infatti la chiesa diventò parrocchia del paese vicino e i beni dell’abbazia vennero venduti, dando così il via alla demolizione del monastero. Rimasero intatti soltanto la chiesa, una parte del chiostro piccolo, il refettorio e gli edifici dell’ingresso. Nel 1861, poi, per far spazio alla linea ferroviaria Milano-Pavia-Genova, il Chiostro Grande (attribuito al Bramante) venne distrutto.

Fu solo nel 1894 che l’Ufficio per la Conservazione dei Monumenti comprò l’abbazia dai privati che l’abitavano e iniziò il restauro del complesso, prima affidandolo a Luca Beltrami, poi nel 1905 a Gaetano Moretti, a cui si deve il restauro della torre nolare, nel 1926 con il ripristino della facciata originaria eliminando le sovrastrutture barocche, nel 1945-1954 con ulteriori restauri e la ricollocazione del Coro Ligneo nella navata centrale (era stato infatti spostato nella Certosa di Pavia per precauzione).
Nel 1952 tornarono i cistercensi nell’abbazia, grazie all’intervento del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, e ripresero il possesso del monastero, ma a patto di riuscire a terminare i restauri entro 9 anni e, in questo modo, ottennero l’uso dell’abbazia e delle terre a essa adiacenti per i successivi 29 anni, rinnovabili. Tra il 1970 ed il 1972 si effettuarono i restauri degli affreschi del tiburio ed anche in anni recenti sono stati svolti i restauri degli affreschi della torre nolare e degli edifici dell’ingresso.
La grande arte
Parlando ora della parte artistica dell’Abbazia, che è davvero notevole, ricordiamo che la dedicazione della chiesa è a Maria Vergine, come abitudine dei Cistercensi, e il nome completo è “Santa Maria in Rovegnano”, dal nome del luogo in cui fu eretta.
Iniziamo con l’ingresso: l’accesso al complesso avviene attraverso una torre cinquecentesca, costruita per volere di Luigi XII di Francia; per le donne, che secondo la regola non potevano recarsi nella chiesa dell’abbazia, tranne che nel giorno della festa della Dedicazione, venne eretta a sinistra, accanto all’androne, la chiesetta di San Bernardo, edificata nel 1412, in cui si trovano notevoli affreschi attribuiti al lodigiano Callisto Piazza.
La facciata è duecentesca (con pronao del 1625), ha la tradizionale forma a capanna ed è percorsa da una cornice sorretta da archetti in cotto a tutto sesto; il campanile è del 1568, di forma poco slanciata. L’elemento però che più caratterizza il complesso è senza dubbio la torre nolare, detta dai milanesi “Ciribiciaccola”. La torre nolare sale partendo dal tiburio fino a un’altezza di 9 metri, con due sezioni di forma ottagonale, per poi diventare di forma conica per 11,97 metri. Da qui alla fine della croce, posta su di un mappamondo, si raggiunge l’altezza di 56,26 metri. Ognuna delle zone è divisa a sua volta in due parti che sono caratterizzate dall’abbondanza di archetti pensili di varie forme, con cornici lavorate e accompagnate dai pinnacoli conici bianchi che delimitano le zone. Le bifore, trifore e quadrifore sono formate da marmo di Candoglia, mentre le monofore sono in cotto. La data esatta di costruzione non è conosciuta, ma è stata datata 1329-1340 e attribuita a Francesco Pecorari di Cremona.
Una volta entrati, si nota che la chiesa è a tre navate e a croce latina, in uno stile tra il romanico e il gotico. Sull’interno della facciata si nota subito l’affresco dei fratelli Della Rovere (detti i Fiammenghini, o Fiamminghini, per via del padre nativo di Anversa), il cui soggetto è la consacrazione della chiesa. Camminando sul pavimento in cotto verso l’altare, si possono notare le colonne ricoperte qua e là di affreschi.
Il coro e il chiostro
Ma giunti al centro della navata l’attenzione viene senz’altro attirata dal coro, uno dei migliori del mondo, opera in noce del 1645 di Carlo Garavaglia. Gli stalli, 24 per parte, sono disposti su due file, divisi ognuno da figure di angioletti collegati da una cimasa arricchita di fregi e da una serie di inginocchiatoi; gli schienali, magistralmente intarsiati, raffigurano scene della vita di San Bernardo. Sopra il coro si trovano affreschi raffiguranti monaci ed angeli.
Notevole è infine il transetto: il presbiterio è infatti fiancheggiato da tre cappelle, una per ogni lato, che si aprono sui due bracci del transetto. Nel transetto destro la prima cappella è dedicata San Bernardo; la seconda è una cappella con affreschi che illustrano la vita di Cristo, e la terza cappella illustra fatti della vita di San Benedetto. Nel transetto sinistro la prima è la cappella del Rosario, la seconda è dedicata a Santo Stefano e la terza cappella contiene una tela attribuita ai fratelli Campi da Cremona, con la Crocifissione.
Un altro capolavoro artistico si trova lungo la parete del transetto destro, dove corre la scalinata che porta al dormitorio dei monaci. Alla sua sommità, sulla parete del pianerottolo, è raffigurata la “Madonna della buona notte” di Bernardino Luini, del 1512; sulla parete sottostante si trova un grande affresco dei Fiamminghini, con l’albero genealogico dei benedettini, di cui l’Ordine cistercense è il ramo più cospicuo.
A questo punto per una porta laterale ci possiamo portare nel chiostro. Del chiostro duecentesco originale rimangono oggi solamente il lato settentrionale adiacente alla chiesa e due campate; sopra la porta si può vedere un affresco della Vergine in trono con Bambino onorata da Cistercensi, della prima metà del XVI secolo attribuita un tempo a Gaudenzio Ferrari ed ora da taluni a Callisto Piazza.
A fianco dell’affresco vi è la lapide scritta in caratteri semigotici, posta in occasione della consacrazione della chiesa nel 1221, sormontata dalla cicogna. Apriamo una parentesi sulla presenza delle cicogne in questi luoghi: esse popolavano l’acquitrino su cui sorse nel XII secolo l’abbazia e vi rimasero fino al 1574; in loro onore, lo stemma della chiesa raffigura una cicogna, un pastorale e una mitria, e lo si può vedere scolpito sui battenti del portale d’ingresso.
Tornando al chiostro, notevoli sono gli archi in cotto, le cordonature delle volte a crociera, le trifore ad archi acuti sorretti da colonnine binate con gli interessanti capitelli scolpiti con foglie, aquile e volti umani; da notare le colonnine annodate poste sull’angolo lato nord-ovest.

Vale infine la pena di citare, nell’area abbaziale, il mulino recentemente restaurato, dopo 10 anni di lavoro; l’antico edificio, coevo dell’Abbazia, ha da poco ripreso a funzionare: i lavori hanno infatti consentito non solo il restauro delle strutture ma anche la riattivazione del sistema molitorio, con finalità sia produttive sia didattiche.