SOMMARIO Nessuno sospettava l’esistenza di importanti affreschi, a Selvanesco, realizzati nel XVI secolo dai migliori maestri lombardi. Il piccolo tempio è un gioiello: può essere considerato un monumento al classicismo controriformista e un momento di passaggio dal manierismo al barocco. Vi hanno lavorato quattro grossi nomi della scuola artistica lombarda: Martino Bassi, Tolomeo Rinaldi, Giovan Battista Della Rovere, Gerolamo Ciocca. Incredibilmente, la precedente proprietà li ha coperti tutti con intonaco bianco
di Roberto Schena (*)

ECCO CHI CI HA LAVORATO
Uno dei massimi studiosi d’arte in Lombardia, Lorenzo Tunesi, chiamato a una valutazione degli affreschi coperti di intonaco di Selvanesco, nell’oratorio di San Matteo, li ispezionò fra il 2015 e il 2017: ne ha descritto i tratti fondamentali ricavandone molte interessanti impressioni. Le fondamentali informazioni storico-artistiche sull’oratorio del borgo antico sono dunque tratte da un suo saggio intitolato Da simplex ecclesia a tempio: l’oratorio di San Matteo a Selvanesco, grangia certosina (1). Per prima cosa la facciata dell’oratorio: apparentemente molto semplice, è disegnata da un grande architetto, molto probabilmente Martino Bassi (1542-1591), uno dei più quotati del XVI secolo, autore di un notevole trattato teorico (2) e, dal 1586, responsabile della Fabbrica del Duomo di Milano.
Il Bassi collaborava negli stessi anni con la Certosa di Pavia, proprietaria di Selvanesco, ed è lui, spiega Lorenzo Tunesi, a sovrintendere i lavori dell’oratorio, annotando accuratamente l’elenco delle pitture, delle decorazioni e delle relative parcelle: è proprio da questo documento che giunse la conferma dell’esistenza di vari affreschi nell’oratorio, di che cosa raffigurassero e chi li avesse realizzati prima che fossero coperti con intonaco e nessuno potesse più vederli.
Le linee della facciata del tempio appaiono così “pulite” da sembrare appartenenti al periodo neoclassico, più da XVIII e prima metà del XIX secolo, ma si tratta invece di classicismo rinascimentale ridotto all’osso, che sicuramente già riflette le severe Instructiones in materia d’arte dettate 10 anni prima, nel 1577, da San Carlo, miranti a liberare le chiese da ogni eccesso ornamentale. Se la si confronta però con quella del vicino oratorio di Macconago, del 1623, si noterà come quest’ultima sia stata realizzata nel pieno e zelante rispetto dell’essenzialità borromaica: la facciata di Macconago è ancora più spoglia di ornamenti rispetto a quella di Selvanesco, che è invece ancora attraversata da paraste con cenni di capitelli dorici (senza basi)
tipicamente rinascimentali, e sormontata da un alto timpano a diverse modanature, pur sottili e semplificate.
La facciata del tempio di Macconago, a trent’anni di distanza, ha radicalmente eliminato qualsiasi decorazione: mantiene il timpano impoverendolo nel numero delle scanalature che sono ancora più semplificate, e compaiono le nicchie per contenere le statue dei santi, come voleva il manuale del Borromeo, peraltro in questo caso rimaste sempre vuote. Le nicchie senza statue sono una consuetudine delle piccole chiese, che spesso si ritrovavano senza il denaro necessario a pagare le opere dello scultore e il marmo stesso. Alcune chiese, come San Martino in Greco, hanno infine optato per l’installazione di statue in gesso (come vedremo nella pagina dedicata a Greco), ma molti decenni dopo.

L’interno dell’oratorio doveva presentarsi come un piccolo gioiello. Padre Rivolta e Martino Bassi chiamarono a lavorare tre dei più importanti professionisti resenti sulla piazza milanese, particolarmente attenti alle elaborazioni teoriche suggerite (forse sarebbe meglio dire imposte con qualche buona ragione) da Carlo Borromeo. Si tratta di Tolomeo Rinaldi, Giovan Battista Della Rovere, Gerolamo Ciocca.
Tolomeo Rinaldi è un architetto di valore, nato e cresciuto a Roma in una famiglia di illustri architetti, diventerà l’uomo d’arte su cui punterà l’arcivescovo Federico Borromeo. È a Milano nel 1585, dove tra l’altro battezza il figlio Giovanni Leone. Collabora con Martino Bassi, ed è grazie al Bassi che nel 1588 lo si vede all’opera a Selvanesco. Solitamente non fa il pittore di mestiere: sui muri interni dell’oratorio dipinge o semplicemente disegna un colonnato scanalato per dare profondità e maestà agli interni. Scrostando l’intonaco che copre la parete ne è emerso un tratto nella parte alta.

A dargli il colore potrebbe essere stato Giovan Battista Della Rovere, noto per essere uno dei due fratelli detti Fiammenghini, qui ventottenne. Un quarto di secolo dopo lo si ritrova tre chilometri di prati più a est, nella vicina abbazia di Chiaravalle, quando darà vita, insieme al fratello più giovane, Giovanni Mauro, a un ciclo di grandiosi affreschi. Selvanesco e Chiaravalle sono dunque collegati fra loro da un filo artistico, potrebbe essere chiamato il sentiero dei Fiammenghini.
Scrostando altre parti del demenziale intonaco bianco emerge, purtroppo molto rovinato, un dipinto sicuramente da attribuire a Giovan Battista Della Rovere, lo indica il Bassi stesso in una nota spese del 7 novembre 1588. Il dipinto mostra in prospettiva un tempio, disposto su una scalinata a tre livelli. Il piano più lontano ospita un primo gruppo di persone. A scendere, se ne nota un altro attorno a un cadavere posto su un letto. Il primo piano, il più vicino all’osservatore, mostra una balaustra dipinta a cui sono appoggiate due figure: un uomo in piedi e un fanciullo, e ben visibile, seduto sui gradini, c’è un uomo con la barba, turbante, libro aperto. È San Matteo, apostolo e autore di uno dei quattro vangeli ufficiali. La scena lo riprende alla corte di Egippo, re d’Etiopia, dove compie due miracoli: resuscitare la figlia Ifigenia, da poco spirata, e guarire dalla lebbra la sorella del re.

Qui a Selvanesco San Matteo dà il nome all’oratorio, probabilmente perché i vari committenti, tra cui padre Rivolta, portavano il suo nome. Un secondo affresco – parti di esso – emerge dall’intonaco, sempre del Della Rovere: sono gli Angeli musicanti e angelici, situato verso l’alto, dove si trovano, sparsi sulle varie pareti, altri frammenti di angioletti, come da tradizione pittorica lombarda. Spiccano, meravigliosi, due strumenti musicali a corda, simili uno a un violone (o contrabbasso di viola da gamba), l’altro a una lira da braccio. Suonati da angeli provvisti di archetto, erano strumenti modernissimi per l’epoca: la scena dell’oratorio di Selvanesco è paragonabile a una sorta di concerto jazz in versione rinascimentale.

Il tutto è in attesa di doverosi restauri, non si riesce a capire se in corso di studio o meno. In conclusione, la chiesa di Selvanesco, per quanto piccola, fornisce un bell’esempio di pittura quadraturista, ossia murale a prospettive, tipicamente rinascimentale, peraltro già nota nel mondo classico. Come scrive Lorenzo Tunesi: “Due sono, in sostanza, i temi affioranti: una grandiosa partitura architettonica ad accogliere solennemente il fedele, all’ingresso e sulle pareti laterali, e poi storie sacre e schiere angeliche nella parete dietro l’altare”. Si spera che i lavori di restauro diano presto i loro frutti. Un giorno, quando saranno recuperati tutti gli affreschi, chissà se vi si terrà un concerto inaugurale per lira da braccio accompagnata da un violone o di quartetto d’archi.
Il terzo pittore, Gerolamo Ciocca (1569-1630), milanesissimo, è l’allievo prediletto di un eminente precaravaggesco, e in netto contrasto con la Controriforma, Giovanni Paolo Lomazzo (1538-1592). I documenti però hanno rilevato un importante legame tra il Ciocca e i monaci dell’ordine certosino, i quali pretendono dagli artisti l’applicazione rigorosa delle disposizioni stabilite da Carlo Borromeo nel 1577. Il Bassi gli commissiona la pala d’altare affollata di santi, una Madonna con Bambino e San Giovannino tra i santi Matteo, Maddalena, Caterina da Siena e Stefano. Ciocca esegue il lavoro secondo il mandato, e realizza un capolavoro di perfezione, d’alta scuola.

Questa meravigliosa opera non è visibile a Selvanesco e in nessun luogo: è conservata nei depositi del Museo della Certosa di Pavia, non esposta al pubblico. Forse sarà l’eccessiva fama di cui Ciocca godeva in vita e l’osservanza ortodossa del canone borromaico a oscurare il suo talento nei secoli a venire: a torto dimenticato, i futuri critici gli preferiranno l’altro allievo del Lomazzo, Ambrogio Figino (o Figini o Giovanni Ambrogio Figino, 1553-1608). Nel 1925 il dipinto era ancora a Selvanesco, attribuito erroneamente ad Aurelio Luini, e sarebbe curioso conoscere le vicende di come, quando e da chi è stato portato al Museo della Certosa. Questo spostamento, compiuto probabilmente da qualcuno collegato agli stessi certosini, se non altro ha permesso di salvare il dipinto, sebbene la meravigliosa cornice dorata a “ovoli grossolani”, appositamente realizzata da (lo sappiamo sempre dal quaderno di Bassi) Virgilio del Conte, uno dei maggiori intagliatori dell’epoca, sia sparita. È l’ennesimo furto compiuto ai danni della chiesa cinquecentesca, che può essere considerata un monumento al classicismo controriformista, oltre che un momento di passaggio dal manierismo al barocco.
Secondo l’importante Relazione della Commissione incaricata dalla Società Storica Lombarda di segnalare i monumenti di carattere storico ed artistico esistenti nel territorio dei comuni annessi nel 1923 alla Città di Milano, nel 1925 c’erano ancora sia l’altare che la bella balaustra intorno allo stesso, di pietra lavagna, l’acquasantiera a pila di marmo, con basamento in molera (pietra di 25 milioni di anni, formatasi nei fondali marini della Pianura Padana) che riportava la scritta GRA.CAR. La Relazione segnala inoltre la presenza di un tabernacolo poggiante su un gradino “in legno intagliato a cherubini e volute e dorato, fondo celeste”. Si tratta di un supporto ligneo decorato con angioletti sul quale poggiano la croce e i candelieri, di metallo pregiato, al centro del quale si trova il tabernacolo. Saccheggiato tutto. Non è rimasto più niente.
Note
(*) Il presente testo è in parte una rielaborazione del capitolo dedicato a Selvanesco pubblicato su mio libro “Milano, il patrimonio dimenticato”, 2022, Magenes
(1) Pubblicato dalla rivista Arte Lombarda nel 2020, acquistabile online.
(2) Martino Bassi, Dispareri in materia d’architettura, et perspettiva, Brescia, 1572.
(Fine seconda parte, per la prima parte leggi QUI)